Cosa succede se un presidente cerca di piegare la banca centrale ai suoi obiettivi politici? La risposta potrebbe essere semplice, ma le conseguenze economiche no. Negli Stati Uniti si sta consumando uno scontro ad alta tensione tra Donald Trump e Jerome Powell, attuale presidente della Federal Reserve. Un confronto che potrebbe cambiare le carte in tavola per i mercati finanziari globali.

Perché Trump vuole “liberarsi” di Powell

Trump non ha mai nascosto la sua insofferenza verso le politiche monetarie di Powell, da lui stesso nominato nel 2018. Dopo averlo criticato per aver alzato i tassi durante la sua prima presidenza, ora il tycoon lo accusa di non tagliarli abbastanza in fretta.

L’obiettivo? Indebolire il dollaro, rendere più sostenibile il rifinanziamento del gigantesco debito pubblico USA e stimolare i consumi e gli investimenti con mutui e prestiti meno costosi. Ma la Fed, guidata da Powell, continua a mostrare prudenza, mantenendo i tassi tra il 4,25% e il 4,50% per contrastare un’inflazione che ancora non si è stabilizzata sotto il 2%.

Tagli ai tassi d’interesse? Le contraddizioni di Trump

Paradossalmente, è proprio l’agenda politica di Trump – dai dazi alle tensioni internazionali – a complicare la strada verso un allentamento monetario. I dazi rischiano di alimentare nuove pressioni inflazionistiche, e la sfiducia verso la stabilità americana potrebbe far fuggire capitali dal dollaro, aumentando i rendimenti sui titoli di Stato e facendo schizzare gli spread.

E se davvero Trump dovesse riuscire a forzare la rimozione di Powell, il messaggio lanciato ai mercati sarebbe devastante: la politica monetaria americana non è più indipendente. La fiducia degli investitori potrebbe crollare, innescando un effetto domino su borse, obbligazioni e valute a livello globale.

Il pericolo di una crisi sistemica

Un’eventuale destituzione del presidente della Fed non sarebbe solo un’anomalia istituzionale, ma un colpo potenzialmente letale per la reputazione del sistema finanziario americano. Gli investitori, spaventati dall’instabilità, potrebbero cercare rifugio altrove: lo scenario più probabile sarebbe una fuga dai Treasury, un crollo del dollaro e un’impennata dei rendimenti a livello globale.

QUESTO SINGOLO EVENTO RISCHIA DI FAR CROLLARE LE BORSE ANCOR DI PIÙ.
Il sistema è troppo interconnesso per pensare che una crisi americana possa restare confinata agli Stati Uniti. La fragilità della fiducia potrebbe costringere il governo USA e la Fed a intervenire con dichiarazioni straordinarie, ma il danno – soprattutto psicologico – sarebbe già fatto.

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Conclusione: Powell resterà al suo posto?

Salvo clamorosi colpi di scena, Powell dovrebbe restare alla guida della Fed fino al 2026. Ma l’attacco frontale di Trump apre una questione fondamentale: fino a che punto la banca centrale americana può restare immune dalle pressioni della politica?

L’equilibrio tra indipendenza e collaborazione è fragile. E se dovesse rompersi, le conseguenze si sentirebbero in ogni angolo del pianeta.